Lui, e l’amico di sempre Matt Damon, non le mandano certo a dire al nuovo presidente degli Stati uniti, così George Clooney si presenta alla Mostra Internazionale di Venezia con il suo thriller anche a sfondo politico, ma il suo pensiero lascia poco ad interpretazioni così come la risposta dello stesso Matt Damon alla domanda se Clooney volesse candidarsi presidente: “Chiunque sarebbe meglio dell’attuale”…parole taglienti anche se ironiche.
Fin dalla campagna elettorale, quando nessuno credeva che Donald Trump avesse la benché minima possibilità di arrivare alla Casa Bianca, George Clooney non ha mai nascosto la sua antipatia ed avversione per il Tycoon, ed anche oggi, che Trump è presidente degli Stati Uniti D’America, l’attore continua con tutte le sue forze a portare avanti la sua denuncia, attraverso le associazioni che sovvenziona ed anche attraverso i film a cui prende parte.
E nelle scorse ore Clooney, da poche settimane diventato padre, ha presentato alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia “Suburbicon”, il film scritto dai fratelli Coen e da lui diretto.
Lo spunto per la pellicola è una vera storia di ordinario razzismo accaduta a fine anni’50 nella comunità-modello di Levittown, in Pennsylvania, riservata ai cittadini “di razza caucasica”: la storia della prima famiglia di afroamericani che si trasferisce nell’idilliaca comunità e che viene strenuamente attaccata.
Protagonisti del film sono l’inquietante padre di famiglia Gardner Lodge (Matt Damon), sua moglie e sua cognata (entrambe interpretate da Julianne Moore) e il figlio dei Gardner, un bambino, eppure l’unico costretto a fare i conti con la realtà di lucida follia della sua famiglia e ad aprirsi all’amicizia con il figlio nero dei nuovi vicini.
Clooney ha chiesto ai Coen di adattarla a una loro foschissima sceneggiatura rimasta nel cassetto dal 1985, un delirante thriller ‘di famiglia’ tipo “Blood Simple” e “Fargo”. Il risultato è una metafora, parole di George, “sui nuovi muri e sulle minoranze usate come capro espiatorio di tutte le magagne che affliggono gli Usa”.
“Ho sempre amato l’idea di un omicidio consumato in una città̀ perfetta – sottolinea Clooney – con tutta la gente che guarda nella direzione sbagliata. È̀ la storia di un’epoca e di un luogo dai quali, purtroppo, non ci siamo mai veramente allontanati. In fondo anche adesso Trump parla di ‘rendere grande l’America’ costruendo muri contro le minoranze, proprio come se ne parlava negli anni ’50, quando il modello perfetto era un grande uomo bianco”.
E parlando degli Usa, “in questo momento c’è una rabbia massima, una nube nera che sembra coprire il nostro paese e questo film riflette questo sentimento. Volevamo essere suscitare rabbia e anche qualche risata. Ma io sono ottimista, credo nella gioventù, credo che potremo superare tutti questi problemi, credo nelle istituzioni, credo nella magistratura”, dice Clooney parlando da vero politico.
questa amal mi sembra una parvenue con i modi da scaricatore di porto e dalle manie di grandezza
Trovo amal Alamuddin molto presuntuosa, non elegante e per niente interessante, il suo “stile” è dozzinale , copiato e banale.