Il trapianto di cuore è un intervento chirurgico volto a sostituire il cuore non più efficiente di un individuo con un cuore sano, proveniente da un donatore morto di recente. Il donatore non viene scelto a caso, ma deve avere in comune, con il ricevente, il gruppo sanguigno e le dimensioni del cuore.
Operazione molto delicata e non esente da complicazioni, il trapianto di cuore si esegue solo su individui valutati idonei da un’equipe specializzata e soprattutto in quei pazienti con cuori gravemente malati, può rappresentare l’unica vera soluzione terapeutica attuabile. Persone colpite da un’insufficienza cardiaca grave sono i candidati ideali per un trapianto di cuore, in quanto questa operazione rappresenta l’unico vero trattamento terapeutico efficace.
La controindicazione più grave è senza dubbio il rigetto, che avviene quando il sistema immunitario di una persona, sottoposta a trapianto, aggredisce l’organo impiantato perché lo considera estraneo all’organismo.
Il pericolo di rigetto si riduce nel tempo, ma, purtroppo, non si esaurisce mai del tutto. Pertanto, l’assunzione di immunosoppressori e i controlli periodici diventano, per chi si è sottoposto a un trapianto, normale routine.
I successi ottenuti in questi campi, negli ultimi anni, hanno generato grande entusiasmo e grandi speranze sulle potenzialità del trapianto: ne ha passata quindi acqua sotto i ponti dal primo trapianto che ebbe esito positivo.
Proprio in queste ore si celebra il cinquantesimo anniversario del primo trapianto di cuore: mezzo secolo fa fu compiuto quello che allora sembrò un vero e proprio miracolo.
Trapianto di cuore, il primo successo è di 50 anni fa
Era il 3 dicembre 1967 a Città del Capo, in Sudafrica, quando fu compiuto quello che è considerato il primo trapianto di cuore umano.
L’operazione fu realizzata dal chirurgo Christiaan Barnard, destinato a diventare uno dei medici più famosi al mondo. La persona che ricevette il cuore si chiamava Louis Washkansky, aveva 54 anni, soffriva di diabete e aveva avuto già tre infarti; il cuore apparteneva a una donna di 24 anni, Denise Darvall, che a seguito di un incidente stradale era cerebralmente morta. L’intervento richiese otto ore di lavoro.
Il ricevente, già in condizioni critiche, sopravvisse soltanto 18 giorni ma spianò la strada al secondo trapianto, un mese dopo. Il cuore di un nero, Clive Haupt, venne trapiantato a un uomo bianco, il dentista Philip Blaiberg, che vivrà per 19 mesi. L’anno dopo a ricevere un cuore sarà per la prima volta una donna, di colore: Dorothy Fisher visse dodici anni e mezzo.
Eppure la maggior parte dei trapianti di cuore che furono effettuati nel 1968 non furono grandi successi. Secondo una rilevazione fatta nel dicembre di quell’anno, meno della metà dei 65 pazienti operati fino al quel punto erano ancora vivi. Nel dicembre del 1970 l’American Heart Association fece un altro censimento secondo cui solo 23 dei 166 pazienti sottoposti a trapianto di cuore fino a quel punto erano ancora vivi.
Fallimenti che spinsero la maggior parte dei chirurghi a smettere di pensare ai trapianti come ad una possibilità di salvezza per i pazienti, ma per fortuna le cose cambiarono negli anni Ottanta quando si diffuse un nuovo farmaco che ridusse moltissimo i rischi di rigetto, la ciclosporina, e furono migliorate le tecniche di diagnosi del rigetto, rendendo possibile ai medici di intervenire con maggiore velocità nelle situazioni che lo richiedevano.
Christiaan Barnard ha dato quindi il via a una rivoluzione medica non indifferente, se si considera che oggi sono circa 6mila i trapianti di cuore che vengono eseguiti in tutto il mondo: in Italia, solo nel 2016, ne sono stati effettuai 267.
Oggi la sopravvivenza media supera i dieci anni ma c’è ancora tanto da fare, soprattutto per poter arrivare al trapianto: le liste di attesa restano lunghissime (a oggi 9.143 persone aspettano un organo) e, statisticamente, molti non ce la faranno ad arrivare al salvifico trapianto.