La manovra di bilancio per il 2019 è stata appena approvata e firmata da Sergio Mattarella: sono state approvate riforme importanti, come quella della quota 100 o del blocco del turn-over nella Pubblica Amministrazione, di cui si è parlato e discusso animatamente, ma anche una miriade di altre riforme che nel caos generale sono passate inosservate.
Ed invece potrebbero avere conseguenze non trascurabili, come quella che vede protagonista Venezia: arriva infatti il ticket di ingresso nella città.
La norma prevede la possibilità di applicare il contributo – tra i 2,5 e 5 euro, estensibili a 10 euro – a chi raggiunge “con qualunque vettore la città antica”.
La misura fiscale, si legge nel comma 1129 del maxiemendamento alla legge di bilancio, “potrebbe conseguire un effetto selettivo e moderare l’accesso delle cosiddette grandi navi alla zona lagunare”.
Molto probabilmente l’idea è che questa nuova tassa funzioni come sostituto d’imposta: a pagare, come sovrapprezzo sui biglietti, dovrebbero essere cioè le compagnie che fanno servizio di trasporto – pullman, aerei, navi da crociera – a fini commerciali in arrivo a Venezia.
“La ‘tassa di sbarco’ punta giustamente a ‘colpire’ i turisti giornalieri, che sono la maggior parte dei visitatori della città, ma portano in termini di fatturato solo il 30% a fronte del 70% portato dai pochi milioni di pernottanti che pagano da anni la tassa di soggiorno”, commenta Matteo Sechi, portavoce dell’associazione ‘Venessia.com’, che si batte per la difesa della città lagunare dal turismo di massa.
D’accordissimo sul balzello introdotto dalla manovra anche Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, perché «le nostre città sono musei: come accade nei musei, è giusto pagare il biglietto d’ingresso».
Secondo le prime stime, dalla nuova tassa potrebbe maturare un gettito annuo tra i 40 e i 50 milioni di euro.