Nel 1980, il Monte St. Helens, situato nello stato di Washington, si risvegliò improvvisamente, ricordandoci la potenza travolgente della natura. Questa vicenda intreccia l’eruzione del vulcano con il lavoro instancabile del vulcanologo David A. Johnston, il cui impegno ha contribuito a salvare numerose vite.
Il vulcano era rimasto inattivo dal 1840, ma nel marzo 1980 iniziò a dare segnali di attività. Scosse sismiche iniziarono a scuotere la terra e il vapore cominciò a fuoriuscire dalla montagna. Gli scienziati rilevarono un preoccupante rigonfiamento sul fianco del vulcano, indicativo della risalita del magma.
David Johnston, giovane ricercatore dell’U.S. Geological Survey, era da sempre affascinato dai vulcani. La sua competenza in materia di gas vulcanici lo rese una figura centrale nel monitoraggio del Monte St. Helens. Le sue osservazioni furono decisive per convincere le autorità a mantenere l’area chiusa al pubblico, nonostante le pressioni per la riapertura al turismo e alle attività di disboscamento. Il 18 maggio 1980, Johnston era in servizio presso un punto di osservazione chiamato Coldwater II, a circa dieci chilometri dal vulcano.
Alle 8:32 del mattino, un terremoto di magnitudo 5.1 causò una gigantesca frana sul versante nord della montagna, innescando un’esplosione laterale devastante.
Le ultime parole di Johnston, trasmesse via radio, furono: “Vancouver, Vancouver! Questo è!”. L’eruzione che seguì fu la più distruttiva nella storia degli Stati Uniti, distruggendo foreste, sciogliendo ghiacciai e scatenando enormi colate di fango.
L’esplosione devastò un’area di 593 chilometri quadrati e causò la morte di 57 persone. Il punto di osservazione di Johnston venne completamente spazzato via e, nonostante le ricerche, il suo corpo non fu mai ritrovato. Anni dopo, furono recuperati alcuni resti della roulotte della USGS, testimonianza del potere immenso dell’eruzione.
Il lavoro di Johnston e il suo sacrificio non furono vani. La sua determinazione nel mantenere l’area interdetta salvò migliaia di vite. Oggi, la cresta dove perse la vita porta il suo nome: Johnston Ridge. Questo luogo serve a ricordare sia la forza del vulcano sia il coraggio di coloro che dedicano la loro vita allo studio delle forze della natura.
L’eruzione del Monte St. Helens espulse oltre 4,2 chilometri cubi di materiale, riducendo l’altezza della montagna di 400 metri, creando un cratere a forma di ferro di cavallo e provocando la più grande frana mai registrata. Il disastro portò a notevoli progressi nel campo del monitoraggio e della previsione delle eruzioni vulcaniche, garantendo che l’eredità di David Johnston continui a vivere nella scienza che amava.