Nell’ultimo secolo è stata tra le favole più celebri ed amate da grandi e piccini: parliamo di “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi, romanzo a puntate pubblicato a Firenze nel 1881 su Il giornale dei bambini.
Una fiaba educativa, che già nelle intenzioni del suo autore aveva uno scopo pedagogico, volendo insegnare ai bambini che solo facendo i bravi, ascoltando i genitori e non facendo i monelli si può arrivare all’”happy and”, anche se c’è sempre spazio per la redenzione.
Sappiamo infatti che, dopo una serie di peripezie e disavventure, Pinocchio si accorge che si è trasformato in un ragazzo in carne e ossa, che la capanna è diventata una bella casetta e che i suoi vecchi vestiti si sono trasformati in vestiti nuovi di zecca.
Ma, nella versione originale, quanti di voi sanno che il finale era ben diverso?
“Oh babbo mio! se tu fossi qui!…” : queste dovevano essere le ultime parole del burattino, che poi moriva impiccato alla Grande Quercia dagli Assassini, cioè dal Gatto e dalla Volpe che volevano impadronirsi delle monete d’oro date a Pinocchio dal burattinaio Mangiafuoco.
All’epoca, però, i lettori del giornale, prevalentemente giovani o giovanissimi, rimasero talmente shoccanti dal macabro epilogo che scrissero in massa alla redazione, chiedendo che Collodi modificasse la propria visione della storia.
Il grande scrittore italiano era molto restio ma alla fine accontentò i propri fan, e chissà se è stata questa scelta a contribuire all’enorme successo che ha poi ottenuto in ogni angolo del mondo.