Paradisi fiscali, ecco dove depositano i paperoni italiani

VEB

Noi comuni mortali, vincolati ad un contratto già abbastanza tassato a monte, dichiariamo fino all’ultimo centesimo che riusciamo a percepire, lavorando metà dell’anno solo per riuscire a pagare tasse e imposte, in un paese dove il cuneo fiscale si fa sempre più insostenibile.

Parallelamente, sono invece tantissimi i ricchi “furbetti” che preferiscono conservar il loro denaro in paesi esteri, per non vederselo tassare: stiamo parlando dei celebri “paradisi fiscali”.

Ma esattamente questi cosa sono?

I paradisi fiscali non sono altro che paesi che attirano capitali stranieri allettandoli con un prelievo minimo, o addirittura nullo, in termini di tasse sui depositi bancari, ma anche con una serie di altri servizi, come ad esempio una bassa tassazione anche per tutte le altre attività finanziarie ed economiche e soprattutto la rassicurazione di tenere celata la propria identità.

Esiste un decreto Ministeriale che indica quali sono i Paradisi fiscali, quelli cioè con tassazione notevolmente più bassa rispetto a quella italiana: qiesti paesi vengono inseriti in una black list.

Negli anni i paradisi fiscali sono stati tanti e differenti: fin dagli anni ’30 il rifugio degli evasori è stata la Svizzera, grazie alla sua neutralità e alle sue ferree leggi sul segreto bancario, poi è stata la volta del Marocco nel secondo dopoguerra, del Libano a partire dal 1948 ma anche degli Emirati Arabi.

Nel 2010 l’Ocse ha stilato una lista di 14 paradisi fiscali: Belize; Brunei; Filippine; Guatemala; Isole Cook (Nuova Zelanda); Isole Marshall; Liberia; Montserrat (Regno Unito); Nauru; Niue (Nuova Zelanda); Panama; Uruguay; Vanuatu. Nella realtà, comunque, l’elenco è molto più lungo e comprende ad esempio la Svizzera, il Liechtenstein, il Lussemburgo e Cipro.

Vi stupiscono questi nomi? Paesi dall’economia fragile e debole, ed infatti la loro ricchezza deriva quasi esclusivamente dai capitali stranieri che affluiscono anno dopo anno.

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