L’apparato visivo presenta uno dei meccanismi più complessi del corpo umano: l’occhio, composto da diversi strati e più lenti di potenza e funzionalità diverse, è una macchina perfetta che, senza che ce ne rendiamo conto, ci permette di fruire di un senso fondamentale come la vista.
La funzione dell’apparato visivo è quella di raccogliere le immagini di ciò che ci sta intorno e farle decodificare dal cervello grazie al passaggio dei raggi luminosi attraverso gli occhi, il nervo ottico e infine il cervello.
Spesso il funzionamento dell’apparato visivo viene accostato a quello della camera di una macchina fotografica: esattamente come l’apparecchio che tutti conosciamo, l’occhio è composto da parti che hanno le funzioni di lenti, diaframma e messa a fuoco, e la percezione dell’immagine inizia posteriormente, facendosi strada pian piano verso l’interno, sino ad arrivare alle zone nelle quali viene finalmente “fermata”, in un caso su pellicola, nell’altro nella nostra memoria.
L’occhio umano quindi è una “macchina” elaborata ed efficientissima, eppure, in natura, è superata dall’occhio dei rapaci e si colloca, a pari merito con quello dei primati, è fino a sette volte più acuto dell’occhio di cani e gatti, mentre è fino a 100 volte più preciso di quello di topi e moscerini.
A indicarlo è la classifica dell’acutezza visiva di oltre 600 specie stilata dai ricercatori della Duke University, negli Stati Uniti, che sulla rivista Trends in Ecology & Evolution pubblicano alcune immagini ritoccate con uno speciale software tarato sull’acuità visiva di diversi animali per mostrare il loro livello di dettaglio.
In buona sostanza, in natura ci sono mille modi differenti di vedere oggetti e ambienti: noi esseri umani siamo tra i più fortunati perché percepiamo tutto in maniera decisamente più nitida rispetto a gran parte degli altri animali.
Nella ricerca, Eleanor Caves, ricercatrice della Duke University, spiega la capacità di percepire i dettagli nelle scene di insetti, pesci, mammiferi e uccelli, che ha approfondito a partire da precedenti studi comportamentali o dall’anatomia dell’occhio dei vari animali.
L’acuità visiva è stata valutata in termini di cicli per grado, ossia quanti insiemi di bande scure o chiare in uno stesso grado di campo visivo una specie è in grado di percepire, prima che la scena diventi “grigia”.
L’occhio umano percepisce circa 60 cicli per grado, analogamente a scimpanzé e altri primati non umani. In cima alla classifica si trovano uccelli rapaci come aquile e falchi e avvoltoi; basti pensare che l’aquila dalla coda a cuneo australiana ha una acuità visiva di ben 140 cicli per grado, più del doppio dell’uomo. Cioè le permette di individuare una piccola preda come un coniglio mentre vola a chilometri dalla superficie terrestre.
Nel complesso, fra l’animale col miglior risultato e quello col peggiore i ricercatori hanno osservato una differenza di ben 10mila volte.
I risultati dello studio suggeriscono anche che gli etologi potrebbero aver frainteso alcuni segnali usati nella comunicazione tra animali. Un esempio è quello dei disegni delle ali di farfalla, solitamente interpretati come armi di seduzione o come segnali per tenere alla larga i predatori: nel caso della farfalla Vanessa levana, questi segni risultano visibili a molti uccelli, mentre appaiono confusi e sfuocati alle altre farfalle.
Analogamente, i disegni a zig zag fatti da alcuni ragni sulle proprie ragnatele, potrebbero avvisare uccelli e altri animali della presenza della ragnatela per evitare che ci passino attraverso. Ma sono progettati anche per restare invisibili agli occhi delle prede, che non devono percepire la presenza della ragnatela.