Malattia di Huntington speranze per una cura

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La malattia di Huntington (HD) è una patologia rara, di tipo ereditario e degenerativo, che causa movimenti continui e scoordinati, disturbi cognitivi e del comportamento, il cui esordio avviene intorno ai 40-50 anni. La trasmissione della malattia è ereditaria.

Il gene responsabile della HD si trova sul cromosoma 4. Esso contiene le informazioni per la produzione di una proteina chiamata huntingtina (HTT), la cui funzione è ancora ignota.

La mutazione genetica avviene esattamente nel gene IT15 (o HTT), isolato nel 1993, ed induce la morte dei neuroni in molte aree cerebrali. Questo genera l’alterazione delle capacità cognitive (pensiero, giudizio, memoria), del controllo dei movimenti e delle emozioni. Spesso si evidenzia una perdita dei freni inibitori, soprattutto per quello che riguarda il comportamento sessuale. I primi segni evidenti di malattia possono essere irritabilità, depressione, disturbi dell’umore insieme ad un leggero disturbo della coordinazione motoria con lievi e sporadiche ipercinesie simili a scatti (corea). Rallentamento dei movimenti (bradicinesia) o contratture muscolari persistenti (distonia) possono caratterizzare l’insorgenza della malattia, contribuendo a diverse varianti della condizione.

La HD ha un andamento ingravescente, per cui corea e disturbo cognitivo peggiorano col progredire della malattia. La morte può sopraggiungere per complicanze secondarie legate all’immobilità o per soffocamento dovuto a cibo che finisce nei polmoni.

Attualmente la HD ha una prevalenza di circa 3 – 7 casi per 100.000 abitanti di discendenza europea occidentale. Si stima che in Italia siano circa 6000 le persone ammalate, e 18.000 quelle a rischio di ereditare la malattia.

Oggi è possibile individuare tramite un test genetico chi ne è portatore. Questo test, definito predittivo, è effettuato in laboratori specializzati, ma richiede un’attenta valutazione dei candidati per i molti problemi di natura psicologica ed etica che solleva. Non vi sono farmaci in grado di prevenire, bloccare o rallentare la progressione della malattia. Le sostanze attualmente prescritte dal neurologo ai malati possono attenuare i sintomi senza curare.

Qualcosa però potrebbe presto cambiare proprio sul fronte di una possibile cura: una ricerca condotta dal Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (IS) e pubblicata sulla rivista Human Molecular Genetics ha infatti individuato una molecola che potrebbe diventare il modello su cui basare nuovi farmaci contro la malattia di Huntington.

La molecola agisce su un recettore legato al metabolismo degli sfingolipidi, e in particolare a quello della sfingosina-1-fosfato (S1P), un lipide essenziale per la sopravvivenza delle cellule neuronali. Studi precedenti condotti dallo stesso laboratorio avevano già dimostrato come gli sfingolipidi giochino un ruolo centrale nella malattia di Huntington.

Malattia di Huntington speranze per una cura

Malattia di Huntington speranze per una cura

Saranno necessarie ulteriori ricerche prima di giungere a una potenziale applicazione terapeutica – commenta Vittorio Maglione, ricercatore dello stesso laboratorio – ma pensiamo che questo studio possa rappresentare una importante base di partenza per nuove strategie farmacologiche contro la malattia di Huntington. Molecole simili a quella utilizzata da noi sono in sperimentazione clinica per altre patologie”.

Con questa ricerca – dice Alba Di Pardo, ricercatrice del Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare- riteniamo di avere aggiunto un tassello molto importante. La molecola che abbiamo sperimentato, infatti, si è dimostrata in grado non solo di migliorare la sintomatologia associata alla malattia, ma anche di prolungare la vita media degli animali malati. I benefici del trattamento si sono tradotti anche in una protezione generale della struttura e della funzione del cervello”.

Altra speranza di cura è legata anche a un altro studio, sempre italiano, pubblicato qualche settimana frutto di uno studio congiunto di Andrea Ilari dell’Istituto di biologia e patologia molecolari (Ibpm) del Cnr di Roma e Ferdinando Squitieri dell’Irccs ‘Casa Sollievo della sofferenza’ di Foggia.

In questo studio, gli scienziati hanno prelevato delle cellule della cute di un paziente (fibroblasti) e con una tecnica innovativa (già messa a punto da Jessica Rosati e Angelo Vescovi) sono state ottenute delle cellule staminali pluripotenti. Queste cellule staminali possono essere trasformate in neuroni, aprendo così la strada a nuovi tipi di sperimentazioni, in quanto è ora possibile avere le cellule neuronali del paziente senza tecniche invasive e studiarle ‘in vitro’ per aumentare la nostra conoscenza sulla malattia e individuare possibili strategie terapeutiche.

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