La solitudine in realtà non è così dannosa per la salute

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Negli ultimi anni si è diffusa l’idea che la solitudine possa essere dannosa per la salute quanto fumare 15 sigarette al giorno. È stata associata a varie malattie, ma ricerche recenti mettono in discussione alcune delle ipotesi precedenti su questo legame.

La solitudine in realtà non è così dannosa per la salute

In Europa, tra il 2,4% e il 24,2% degli adulti di mezza età e degli anziani riportano sentimenti di solitudine, percentuale che è aumentata durante la pandemia. La solitudine prolungata può trasformarsi in uno stato di stress cronico, indebolendo il sistema immunitario, aumentando il rischio di depressione, ansia, insonnia, ipertensione e malattie cardiovascolari. Inoltre, peggiora il benessere psicologico, dato che gli esseri umani sono creature sociali che hanno bisogno di interazione per sentirsi confermati nel proprio ruolo nel mondo.

L’assenza di relazioni sociali ci rende più vulnerabili, meno attenti alla nostra salute e alla cura personale. Se ci troviamo a vivere lontani da una comunità o se le relazioni si allentano, questa condizione di isolamento può diventare un pericolo concreto, come avvertono molti medici.

Un aspetto interessante è la cosiddetta “solitudine sociale“, che si verifica quando, pur circondati da persone, non riusciamo a connetterci emotivamente con loro. Questo isolamento emotivo può portare a depressione, anche in assenza di infelicità apparente, poiché cerchiamo di aderire a ideali sociali che impongono relazioni equilibrate e famiglie felici.

La solitudine può anche emarginarci, poiché le persone che ci circondano potrebbero non credere che siamo sereni da soli. Secondo studi passati, le persone che si sentono sole tendono a vivere meno e ad avere più problemi di salute, con una maggiore probabilità di sviluppare demenza dopo i 55 anni.

Ricerche su modelli animali suggeriscono che la solitudine cronica possa influenzare il cervello, modificando funzioni come la memoria e il movimento. Alcuni studi indicano che le persone tendono a sentirsi più sole in momenti specifici della vita, come verso la fine dei vent’anni, a metà dei cinquanta e negli ultimi anni della vecchiaia, spesso a causa di cambiamenti sociali e di stile di vita.

Tuttavia, anche se la solitudine può influire negativamente sulla salute mentale e fisica, recenti ricerche indicano che non è sempre la causa diretta di tutte le patologie associate. Uno studio che ha analizzato dati provenienti da diverse popolazioni – statunitense, cinese e britannica – ha rilevato che la solitudine era effettivamente legata solo a 30 delle 56 malattie studiate, e in molti casi i fattori determinanti erano altri, come condizioni socioeconomiche o preesistenti disturbi mentali, come la depressione.

L’analisi statistica condotta su 26 di queste malattie, per le quali erano disponibili dati genetici, ha rivelato che molte condizioni attribuite alla solitudine erano in realtà dovute ad altre cause. Tuttavia, la solitudine resta un fattore di rischio significativo per disturbi mentali e comportamentali, tra cui disturbo da stress post-traumatico, depressione, ansia e schizofrenia, così come per alcune malattie fisiche come la broncopneumopatia cronica ostruttiva.

D’altra parte, ci sono poche prove che colleghino direttamente la solitudine a malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, obesità o malattie croniche del fegato e dei reni. Anche in ambito neurologico, il legame con la solitudine appare più complesso e meno diretto di quanto si pensasse in passato.

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