La ricerca sul presunto punto G ha coinvolto tecniche come radiografie, esami medici e prelievi di tessuto, senza tuttavia confermare la sua esistenza, come evidenziato da recenti studi scientifici.
Nonostante alcune donne affermino di percepire questa zona, analisi approfondite, che includono la revisione di sei decadi di studi, non hanno portato a risultati concreti.
Gli specialisti hanno impiegato metodi vari, dalle immagini diagnostiche a prelievi di tessuto vaginale, nella speranza di identificare questa area vaginale associata all’orgasmo, ma senza successo definitivo. Una revisione di 96 ricerche da parte di un team israeliano e statunitense non ha portato a una conclusione univoca.
Il Dr. Amichai Kilchevsky, dell’ospedale Yale-New Haven e autore principale dello studio, pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, sostiene che, benché i risultati non siano definitivi, la porta resta aperta a future scoperte, grazie all’avanzamento tecnologico.
La nozione del punto G risale al medico Ernst Gräfenberg, che nel 1950 identificò una zona sensibile nella parete vaginale. Questa ricerca ha stimolato ulteriori indagini, benché idee simili fossero presenti già nelle antiche scritture indiane dell’XI secolo.
Le indagini sulle percezioni femminili hanno generato più domande che risposte, con alcuni studi che indicano una maggiore densità di terminazioni nervose nell’area considerata il punto G, sebbene ciò non determini necessariamente una maggiore sensibilità.
Ricerche del 2008, tramite ecografia, hanno riscontrato differenze nei tessuti delle pareti vaginali che potrebbero correlarsi agli orgasmi vaginali, ma altri studi non hanno confermato l’esistenza di una zona G distinta.
Kilchevsky spera che i suoi risultati offrano conforto a chi dubita della propria esperienza sessuale, suggerendo che la sensazione associata al punto G potrebbe derivare da una più ampia rete di tessuti clitoridei.
Ulteriori ricerche della Rutgers University hanno esplorato la risposta cerebrale a diversi tipi di stimolazione sessuale, suggerendo che il cervello distingue tra clitoride, cervice e vagina. Barry Komisaruk, autore principale di questo studio, propone di considerare la questione più come una “regione G” data la complessità e l’interconnessione delle strutture coinvolte.
In conclusione, i dati indicano che la vagina, il clitoride e l’uretra potrebbero funzionare sinergicamente, creando una sorta di “complesso clitorideo“, come mostrato dagli studi della Dr.ssa Helen O’Connell. Questa visione allarga la comprensione dell’anatomia e della fisiologia sessuale femminile, andando oltre la semplice ricerca di una zona erogena isolata.