La macchinazione: Ranieri, il figlio di Pasolini

VEB

E’ Massimo Ranieri a vestire i panni di Pasolini nel film “La macchinazione” di David Grieco, in sala dal 24 marzo 2016.

Il film di Grieco ricostruisce gli ultimi mesi della vita del grande Pier Paolo Pasolini.

Grieco, che parla di intrighi politici e di misteri mai risolti, ha riportato nella pellicola quanto ha già raccontato nel suo libro “La macchinazione” pubblicato da Rizzoli in occasione dei 40 anni dalla morte del regista, scrittore e poeta.

Non è stato un caso che Grieco ha voluto Massimo Ranieri nei panni di Pasolini. La scelta, era quasi obbligata, non solo per la somiglianza fisica ma anche, e soprattutto, perché Ranieri era stato già scelto in qualche modo dallo stesso Pasolini.

Spiega Grieco: “All’epoca gli amici prendevano in giro Pier Paolo, gli dicevano non ce la racconti giusta, hai un figlio di cui non ci hai mai parlato riferendosi alla grande somiglianza tra lui e Massimo Ranieri, allora ventenne e Pier Paolo era quasi infastidito da queste battute”.

“Poi un giorno, su una panchina di un campetto da calcio, Pasolini finiva di giocare e Ranieri entrava in campo, lo guardò negli occhi e gli disse ma è vero quello che dicono, ci somigliamo proprio. Per questo dico che è stato Pasolini a scegliere Massimo e non io”.

“Per tanti anni mi sono ‘sentito’ Pasolini – aggiunge Massimo Ranieri – e poi, conoscendolo, anch’io avevo riscontrato questa miracolosa somiglianza fisica, mi inorgogliva somigliare a un sì grande uomo”.

“E’ stato importante per tutti quelli della mia generazione, io purtroppo ho avuto modo di conoscerlo poco, negli anni che vanno dal ’68 alla sua morte, nel ’75. Poi, però, ho continuato a ‘frequentarlo’ leggendolo, anche se apparteneva a un mondo lontano anni luce dal mio, lui un grande intellettuale ed io che venivo dalla scuola elementare”.

“Sentivo che leggerlo mi faceva del bene e che, con la sua violenza nel raccontare le cose, stava dalla parte della verità. Lui non aveva paura di lanciare fendenti a destra e a manca perché, come un vero intellettuale, non stava alla finestra, ma frequentava le strade. E che strade: quelle delle borgate, quelle dove vivevano i diseredati”.

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