L’invecchiamento è un processo che non è ancora completamente compreso dagli scienziati, Organismi modello, come il nematode, Caenorhabditis elegens, sono spesso usati negli studi genetici sull’invecchiamento dei tessuti. Ci sono un certo numero di percorsi cellulari che regolano il processo di invecchiamento, di questi ne sono stati identificati tre principali che possono alterare tale processo; la catena di trasporto degli elettroni mitocondriale, la via di segnalazione dell’insulina / insulina-come fattore di crescita (IGF) 1 e la via FOXO3 / Sirtuin (restrizione dietetica – DR).
Gli studi hanno riportato che il processo di invecchiamento è accompagnato da numerosi segni distintivi, tra questi vi sono: instabilità del genoma, cambiamenti epigenetici, telomeri accorciati, perdita di proteostasi, riduzione delle riserve di cellule staminali e diminuzione della funzione mitocondriale. Questi segni distintivi sono anche accompagnati da cambiamenti all’interno del proteoma, come l’aggregazione di proteine, ossidazione e mislocalizzazione.
Da sempre l’umanità si è sempre chiesta quale fosse il vero segreto della lunga vita, ed ad oggi non esiste una riposta univoca.
Le ricerche più recenti naturalmente ci vengono in aiuto per capire cosa fare per vivere meglio e di più, mantenendo una qualità della vita elevata.
Un gruppo di ricercatori che ha studiato le abitudini di vita degli abitanti dell’isola greca di Ikaria, dove l’1,1% della popolazione è costituito da persone che superano i 90 anni, ha ad esempio trovato un ottimo alleato nel sonno. Grazie alla buona abitudine della siesta, abbinata al consumo di té e ad un’alimentazione ricca di frutta e verdura, malattie come ipertensione diabete e ipercolesterolemia fanno la loro comparsa tra gli abitanti dell’isola in un’età molto più avanzata rispetto al resto della Grecia.
Per altri studiosi gli Omega 3 sono considerati elisir di lunga vita. Gli omega 3 non sono presenti solo nel pesce, ma anche in cibi vegetali come semi di lino, olio di lino, semi di canapa e noci, in alcuni vegetali a foglia verde e legumi. Secondo uno studio condotto ad Harvard, livelli più alti di omega 3 nel sangue sono associati ad un minor rischio di morte prematura negli anziani, dunque alla longevità. Gli omega 3 aiutano a ridurre la mortalità generale del 27% e la mortalità legata alle malattie cardiache di oltre un terzo (35%).
Un ruolo centrale, come sempre, ce l’ha sempre un’alimentazione sana ed equilibrata. Nel consumo di frutta e verdura, infatti, è meglio abbondare e raggiungere 7 o più porzioni al giorno per allungare la vita, riducendo il rischio di morte indipendentemente dall’età che si ha. Lo ha confermato uno studio condotto dai ricercatori dell’University College di Londra che ha analizzato le abitudini alimentari di oltre 65 mila persone. Ne è emerso che chi mangia sette o più porzioni di frutta e verdura ogni giorno riduce del 42% il rischio di morte rispetto a chi ne consuma una sola. Nello specifico il rischio di morire di cancro è del -25%, mentre per la malattie cardiache si parla del -31%.
Si chiama invece beclin-1 la proteina la cui mutazione non solo riduce il rischio di sviluppare tumori e malattie legate a cuore e reni, ma addirittura promuove la longevità, permettendo di vivere a lungo e in buona salute: a scoprirlo è stato un team di ricercatori dell’Università del Texas, che in realtà ne aveva già individuato l’efficacia nella cura dell’Alzheimer, perché aumenta il riciclo cellulare nel cervello e nei muscoli.
La proteina beclin-1 è responsabile dell’autofagia, il meccanismo cellulare che permette la degradazione e il riciclo dei componenti cellulari danneggiati, un processo chiamato autofagia e premiato nel 2016 con il Nobel per la Medicina.
Lo stesso gruppo di ricerca aveva indicato in una ricerca precedente che la mutazione di questa proteina aumentava il tasso del riciclo nel cervello e nei muscoli e migliorava le funzioni cognitive dei topi malati di Alzheimer: ora invece hanno scoperto che la stessa mutazione promuove la longevità e riduce il rischio di sviluppare tumori e diverse malattie legate a cuore e reni.
“Levine e colleghi hanno prodotto dati eccellenti, mostrando che l’autofagia può allungare la vita del 12%”, ha commentato David Clancy della Lancaster University, estraneo alla ricerca. “Questo lavoro fa capire che è possibile interferire con i meccanismi dell’invecchiamento, ritardandone i segni”, ha aggiunto Ilaria Bellantuono dell’Università di Sheffield, anche lei non coinvolta nello studio.
Ad oggi gli effetti della mutazione sono stati sperimentati solo sui topi, ma si sta già pensando allo straordinario uso che se ne potrebbe fare in futuro. Per ora gli studiosi hanno indicato tra i possibili utilizzi terapie che riescano a contrastare l’invecchiamento precoce e i disturbi legati ad esso.