Nonostante l’Italia non concorrerà per gli Oscar, potrà almeno tifare per Il labirinto del silenzio e il suo regista metà italiano
Certo è una magra consolazione dopo l’esclusione di “Non essere cattivo”, ma almeno Giulio Ricciarelli, papà italiano e mamma tedesca, con il suo primo lungometraggio “Il labirinto del silenzio”, che uscirà il 14 gennaio, è entrato nella shortlist dei film stranieri come rappresentante per la Germania.
Un debutto nel mondo dei lungometraggi assai impegnativo quello portato avanti da Ricciarelli, che ha portato al cinema una storia ai più sconosciuta, perché a lungo taciuta.
Come si legge nella scheda di presentazione ufficiale della pellicola, la trama tratta di un giovane procuratore, interpretato da Alexander Fehling, che nella Germania del 1958 ha un solo obiettivo: scoprire la verità sui legami tra importanti personaggi pubblici e il regime nazista, ma ben presto capirà che la realtà è più complessa e terribile di quello che immaginava.
E arriverà con non poche difficoltà a un processo tenuto a Francoforte nel 1963, che vide imputati in aula 19 Ss e 211 sopravvissuti a Auschwitz come testimoni. Un processo che costrinse ogni giovane tedesco a chiedersi «se suo padre fosse un assassino oppure no».
Celebrato nel 1963, il processo cambiò radicalmente la percezione dei tedeschi sull’Olocausto, fece scoprire la verità alle giovani generazioni e fu l’inizio di una serie di iniziative per la ricostruzione e il rispetto della memoria.
Il labirinto del silenzio ha un ritmo che sfiora il genere, perché “vorrei che la storia del processo di Francoforte che io, come molti tedeschi di oggi, non conoscevo, arrivasse al pubblico più vasto. La parola suona male, ma vorrei che fosse un film commerciale”, dice il regista.