Il concetto tradizionale di settimana lavorativa da 40 ore è stato messo in discussione — e non da chiunque. Elon Musk e Sergey Brin, due tra le figure più influenti del mondo tech, hanno recentemente fatto dichiarazioni che stanno infiammando il dibattito su produttività, etica e diritti dei lavoratori.

Elon Musk: 120 ore di lavoro a settimana nel nuovo Dipartimento governativo
Elon Musk, CEO di Tesla e SpaceX, ha assunto un ruolo inaspettato come responsabile del neonato Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), creato dall’ex presidente Donald Trump con l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica.
Durante una conferenza pubblica, Musk ha affermato che i collaboratori del DOGE lavorano fino a 120 ore settimanali — l’equivalente di 24 ore al giorno per cinque giorni o quasi 17 ore al giorno per sette giorni. Un’affermazione scioccante, che ha sollevato dubbi sulla legalità e sostenibilità psicofisica di un tale carico di lavoro.
“I nostri avversari burocratici stanno perdendo perché si accontentano delle solite 40 ore“, ha dichiarato Musk, scatenando critiche da parte di esperti di diritto del lavoro e salute mentale.
Negli Stati Uniti, la legge prevede limiti specifici alle ore lavorative, che variano da stato a stato ma raramente superano le 60 ore settimanali. Superare tali soglie viola i diritti dei lavoratori e può portare a seri rischi di burnout, ansia cronica e collasso fisico.
Sergey Brin (Google) rilancia: “60 ore settimanali è il minimo per l’IA”
A riaccendere la polemica è stato anche Sergey Brin, cofondatore di Google, che in una nota interna destinata al team del progetto di intelligenza artificiale Gemini ha esortato i dipendenti a lavorare almeno 60 ore a settimana. Una soglia del 50% superiore allo standard attuale.
Tornato in azienda nel 2023 per guidare l’innovazione in ambito IA, Brin ha definito chi lavora meno di 60 ore come “improduttivo e demoralizzante”, accusando alcuni collaboratori di “fare il minimo per sopravvivere”.
La sua posizione, sebbene meno estrema di quella di Musk, è comunque rappresentativa della cultura del superlavoro tipica della Silicon Valley, dove orari prolungati sono la norma, ma raramente formalizzati in policy ufficiali.
Quali sono i rischi di una cultura del lavoro illimitato?
Numerosi studi scientifici dimostrano che lavorare oltre le 50-60 ore a settimana compromette la produttività a lungo termine, oltre a esporre i dipendenti a problemi di salute mentale, disturbi del sonno, isolamento sociale e cali drastici nella creatività e capacità decisionale.
“Questi modelli estremi ignorano anni di progressi ottenuti con le battaglie sindacali e le riforme del lavoro”, affermano esperti di diritto del lavoro.
L’orario di 40 ore settimanali, oggi considerato uno standard in molti paesi sviluppati, fu conquistato negli anni ’30 dopo decenni di lotte operaie. Metterlo in discussione, dicono i critici, potrebbe rappresentare un pericoloso passo indietro nei diritti dei lavoratori.
Tra efficienza e alienazione: una questione ancora aperta
Per Musk, lavorare oltre ogni limite è una necessità per “tagliare la burocrazia e accelerare i risultati”. Per Brin, è un modo per mantenere Google competitivo in un settore — l’Intelligenza Artificiale — in rapida evoluzione.
Ma molti lavoratori, anche anonimamente, esprimono preoccupazione per il proprio benessere, temendo che queste pressioni diventino presto un nuovo standard, anziché un’eccezione.
Conclusione: un dibattito sul lavoro del futuro
La visione di Musk e Brin rilancia una domanda fondamentale: fino a che punto è lecito spingersi in nome della produttività? E soprattutto, quale prezzo siamo disposti a pagare in termini di salute, equilibrio personale e diritti collettivi?
Il dibattito è aperto, e il futuro del lavoro potrebbe dipendere proprio da come — e quanto — saremo disposti a lavorare.