Definita la malattia del secolo, la depressione è una bestia insidiosa che è difficile da combattere ed in troppi casi persino da diagnosticare, ma che influisce pesantemente anche sulla vita quotidiana di chi ne è affetto e di chi vi vive assieme.
Le stime presentate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità parlano chiaro: se non si corre ai ripari, nel 2020 la depressione potrebbe diventare la seconda causa di disabilità nel mondo.
La perdita di interesse per le relazioni, la vita sociale ed il lavoro è uno dei sintomi da tenere in considerazione come anche i cali di concentrazione, della capacità di memorizzare oltre alla tendenza di rinviare le decisioni, anche le più banali.
Una diagnosi di due anni è però, oggi, necessaria per rivelare il problema: un periodo ancora molto lungo. Anche rivolgersi in tempo ad uno specialista è, quindi, essenziale per prevenire il problema.
Essenziale però è riuscire a capirne la causa, anche se in generale la depressione è una patologia che deriva dalla combinazione di fattori che interagiscono tra loro e che varia da persona a persona. Questi fattori possono essere raggruppati in tre categorie principali: i fattori genetici, biologici e psicosociali.
L’ereditarietà genetica che porta a essere più vulnerabili verso questa malattia va sempre considerata, ma anche il fattore psicologico nel quale giocano un ruolo fondamentale le nostre esperienze passate (anche infantili) e lo stress a cui siamo sottoposti.
Ma a quanto pare bisogna prestare attenzione anche ai farmaci che si assumono quotidianamente: molti farmaci di uso comune potrebbero infatti aumentare seriamente il rischio di depressione e suicidio.
A suggerirlo sono stati alcuni ricercatori dell’Università dell’Illinois a Chicago, i quali ritengono che molti operatori sanitari potrebbero non essere a conoscenza del rischio e quindi non avvisare il paziente del pericolo che corrono.
Più nello specifico, sono circa 200 i farmaci d’uso comune (dalla pillola anticoncezionale agli antiacidi, fino ad antidolorifici e ai farmaci per la pressione e per il cuore) che hanno la depressione tra gli effetti collaterali. Più di uno statunitense su tre usa questi farmaci (con prescrizione medica) che possono causare questo disturbo o aumentare il rischio di suicidio.
Gli studiosi hanno scoperto che circa il 15% degli adulti che ha usato contemporaneamente tre o più di questi farmaci ha avuto casi di depressione durante la loro assunzione. Il dato è del 7% per chi ne ha usato solo uno e del 9% per chi ne ha assunti due.
I ricercatori sottolineano quindi come sia necessaria una maggiore consapevolezza della depressione come un potenziale effetto collaterale ancora più presente.
Molti potrebbero essere sorpresi dall’apprendere questo rischio – afferma la professoressa Dima Qato, del UIC College of Pharmacy, primo autore dello studio – visto che molte di queste molecole non hanno nulla a che vedere con disturbi d’ansia, dell’umore o con altre condizioni abitualmente associate alla depressione”.
È necessario, per concludere, far sapere alla gente e ricordare ai medici che esiste questo rischio. Anche perché, fanno notare gli autori dello studio, la prescrizione di farmaci a potenziale rischio depressivo è passata dal 35% del 2005-2006 al 38% nel 2013-2014.
La sola prescrizione di antiacidi e PPI, con elencata la depressione tra i potenziali effetti indesiderati, nello stesso periodo è aumentata dal 5 al 10%; e quella di associazioni di più farmaci (polifarmacia) è passata dal 7 al 10%. Anche più inquietanti le notizie sul fronte dei farmaci a potenziale rischio suicidario, il cui impiego è passato dal 17 al 24%; l’associazione di due o più di questi farmaci nello stesso periodo è passata dal 2 al 3%.