Diagnosi Aids, anche in Italia troppo tardive

VEB

L’HIV è più comunemente diagnosticato testando il sangue o la saliva rivelando gli anticorpi contro il virus fortunatamente, è necessario del tempo perché l’organismo sviluppi questi anticorpi, di solito fino a 12 settimane, Un test più rapido per l’antigene dell’HIV,  ovvero una proteina prodotta dal virus immediatamente dopo l’infezione, può confermare una diagnosi subito dopo l’infezione e consentire alla persona di adottare misure più rapide per prevenire la diffusione del virus agli altri.

Come abbiamo imparato negli ultimi anni attraverso massicce e pervasive campagne di sensibilizzazione, l’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) è un virus che attacca e indebolisce il sistema immunitario (immunosoppressione).

Appena entra nel corpo rimane alcune ore localizzato tra i tessuti dove c’è stata l’infezione, poi comincia a moltiplicarsi rapidamente nel sangue e arriva ai linfonodi (infezione HIV primaria e acuta). L’apice dell’infezione HIV acuta, che nell’immagine sotto corrisponde alla punta più alta della linea rossa del virus, è il momento in cui talvolta (ma non sempre) compaiono sintomi di tipo para-influenzale (febbre più o meno alta, e altri similari): questo avviene nel giro di un mese più o meno.

Più il virus si replica nel corpo, più attacca, danneggia ed erode il sistema immunitario: la linea blu che scende inesorabilmente rappresenta la morte progressiva e il declino dei linfociti (i cosiddetti CD4) che difendono il corpo da certi tipi di infezioni e malattie.

Se non trattato, l’HIV uccide talmente tanti linfociti da consentire a diverse infezioni cosiddette “opportunistiche” di colpire il corpo: è quando queste infezioni compaiono che c’è l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita), che è appunto una sindrome composta da diverse possibili malattie emergenti.

In Italia sono circa 6.000 le persone con Hiv in fase avanzata non diagnosticata, cioè con un’infezione da diversi mesi che gli ha fatto abbassare i valori del sistema immunitario, ma non si sono ancora presentate dal medico. E’ pari al 40% dei circa 15mila casi di sieropositivi ancora non diagnosticati. L’82,8% sono maschi che hanno contratto il virus per via sessuale.

Aids in Italia aumentano le diagnosi tardive

Aids in Italia aumentano le diagnosi tardive

A stimarlo i ricercatori dell’Istituto superiore di sanità (Iss) in uno studio pubblicato sulla rivista Eurosurveillance riferita al periodo 2012-2014.

Complessivamente in Italia le persone che vivono con l’Hiv sono circa 130.000 ma “di questi, 15mila non hanno ricevuto una diagnosispiega Vincenza Regine, una dei ricercatori dell’Iss – Nell’Unione europea, si stima che i casi non diagnosticati siano 101mila, di cui circa il 33% in fase avanzata”.

Il dato italiano dunque è un po’ sopra la media europea, anche se “va considerato che quello del nostro Paese si riferisce agli anni tra il 2012 e 2014 – continua Regine – mentre quello europeo al 2016. E sappiamo che a livello europeo il numero dei casi non diagnosticati è in calo”.

E la diagnosi tardiva non va sottovalutata: il malato infatti risponde meno bene alla terapia antiretrovirale, il trattamento nel suo caso è spesso costoso e complesso, ed è più a rischio di malattie e morte.

Le cellule CD4, dette anche linfociti T, sono un tipo di globuli bianchi molto importante nel funzionamento del sistema immunitario. Le persone sane ne hanno dalle 450 alle 1600 per millilitro di sangue. In chi è portatore di Hiv la soglia di 350 CD4/ml indica che è necessario iniziare subito a prendere i farmaci, necessari per evitare che si sviluppi l’Aids.

Se il paziente è oltre questa soglia quando fa il primo test per l’Hiv, si parla di “diagnosi tardiva” e significa che ha contratto il virus molto prima e che il suo sistema immunitario è già indebolito. Non sapendo di essere sieropositivo, forse ha continuato a tenere comportamenti a rischio e non ha preso le dovute precauzioni per non contagiare altre persone.

Nuove strategie di prevenzione secondaria devono quindi essere adottate anche per gruppi di popolazione non necessariamente ad alto rischio. Occorre attuare una promozione attiva dei test precoci e aumentare l’istruzione continua sulle infezioni, soprattutto tra i giovani.

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