A trent’anni dall’inizio dell’epidemia globale di Hiv sappiamo che l’infezione può essere prevenuta, diagnosticata e controllata grazie ai progressi di ricerca e medicina, eppure non riusciamo ancora ad evirarla, anzi.
Nel pianeta si contano oggi 36,9 milioni le persone sieropositive, le quali grazie alle terapie antivirali possono tenere a bada il loro Aids.
E nel 2016, il numero di decessi è sceso per la prima volta sotto il milione di persone, attestandosi a 990 mila morti, i quali sono ancora diminuiti nel 2017 quando il virus ha falciato 940 mila vite.
Probabilmente proprio questi numeri, a primo impatto “favorevoli”, hanno spinto ad abbassare la guardia, ed invece la situazione è ancora fin troppo seria: oggi infatti mancano i soldi per la lotta all’Aids, i progressi per quanto riguarda le cure negli ultimi anni sono stati minimi e l’epidemia potrebbe ricominciare a compiere delle vere e proprie stragi, come accadeva in passato.
L’allarme è stato lanciato durante la 22/ma Conferenza internazionale sull’Aids (AIDS 2018) che è svolta ad Amsterdam. La più grande conferenza in tema di salute a livello mondiale ha riunito oltre 15.000 scienziati, attivisti, operatori sanitari, responsabili politici e leader globali.
Convocata la prima volta durante il picco dell’epidemia di Aids nel 1985, la Conferenza internazionale sull’Aids continua a fornire un forum unico per l’intersezione tra ricerca, difesa e diritti umani.
In particolare, l’attenzione quest’anno è stata puntata sull’accesso alle terapie e ai test per la diagnosi, sulla profilassi pre-esposizione, la resistenza ai farmaci, il monitoraggio della tossicità e su come affrontare la crescente epidemia in Est Europa.
E come abbiamo detto, alla luce del rallentamento dei progressi fatti per sconfiggere la malattia, il tema principale è quindi la necessità di tornare a spingere sull’acceleratore della ricerca.
Anche l’agenzia delle Nazioni Unite contro il male, Unaids, ha messo in guardia sul fatto che mancano i finanziamenti per ridurre la minaccia di una nuova pandemia entro il 2030.
Le nuove infezioni sono in calo ma troppo lentamente per raggiungere l’obiettivo Unaids di 500mila nuove infezioni entro il 2020. Dal 2010 al 2017, le nuove infezioni sono diminuite del 16 per cento, ma – sottolineano gli esperti – sono rimaste sostanzialmente più alte nei giovani. Nell’Africa sub-sahariana, il rischio di infezione da Hiv riguarda le ragazze tra i 15 e i 24 anni, per le quali l’Aids è la quarta principale causa di morte. Tra il 2012 e il 2016, il numero di persone over 50 che vivono con l’Hiv è aumentato del 36 per cento in tutto il mondo.
Eppure non sono soltanto i giganti del Big Pharma a disinteressarsi del problema Aids, tagliando i fondi alla ricerca per nuovi farmaci poiché questi sarebbero destinati soprattutto a Paesi dall’economia arretrata e dunque non in grado di acquistarli per i loro malati, ma a quanto pare anche gli americani, che hanno sempre investito tanto nella ricerca.
Bisogna quindi “tornare in carreggiata” per sconfiggere l’Aids ma anche Tbc e malaria, come indica il titolo del rapporto del Gfan – Global Fund Advocates Network “Get Back on Track to End the Epidemics: si tratta di epidemie dinamiche, pronte a diffondersi di nuovo velocemente qualora l’impegno della comunità internazionale iniziasse a vacillare.
Stefania Burbo, focal point dell’Osservatorio AiDS spiega: “questa è un’opportunità storica, il mondo rischia di perdere il controllo su tutte e tre le epidemie, se accadesse avremmo un costo altissimo in vite umane, con un complessivo rallentamento dello sviluppo economico e umano che minaccia la salute di tutte e tutte”.
E Ndulu Kilonzo, del Consiglio keniano sul controllo dell’Aids, per quanto riguarda l’obiettivo di ridurre la pandemia di Aids entro il 2030 ha chiosato: «Siamo lontanissimo dal raggiungimento del traguardo, non solo per quanto riguarda l’eliminazione del virus, ma anche per ciò che riguarda la sua prevenzione».